Quando, a scuola, si studiano il Medioevo o, per andare a tempi più recenti, i due conflitti mondiali che hanno insanguinato il Novecento, gli uomini di quel tempo ci sembrano capaci di incomprensibili, per noi, atrocità. Un tempo lontano quello in cui si uccideva con brutalità, senza risparmiare donne, anziani e bambini, saccheggiando i villaggi per poi darli alle fiamme. Gli stessi avvenimenti della seconda guerra mondiale, con le stragi e gli eccidi compiuti anche nel nostro Paese, ci appaiono come il frutto di una pazzia storica da noi distante perché condannata dall’umanità.
E, del resto, il nostro è il tempo del diritto internazionale al quale governanti e commentatori si ispirano; esistono convenzioni contro i crimini di guerra che, nelle parole, dovrebbero tutelare coloro che non sono parte in causa in un conflitto; coloro che, come ognuno di noi, vivono le proprie città, i propri villaggi, nella quotidianità di chi non va in televisione, non fa proclami e non accarezza poteri. Coloro che non imbracciano un’arma, che non vogliono uccidere, bensì vivere, possibilmente con serenità e felicità. Coloro che i nostri media chiamano civili forse proprio perché, pur non ammettendolo, hanno capito essi stessi che gli altri, quelli con i fucili tra le braccia, sono gli incivili.
Quando, a scuola, si studiano il Medioevo o, per andare a tempi più recenti, i due conflitti mondiali che hanno insanguinato il Novecento, non riusciamo a pensare che quegli stessi avvenimenti fanno parte della quotidianità del nostro mondo e del nostro tempo. Poi, però, i nostri occhi cadono sulla foto di una qualsiasi delle guerre in corso, e scopriamo che la guerra, pur se tecnologica e chirurgica, pur se condotta con visori notturni e missili intelligenti, pur se umanitaria e di pace, uccide. Bambini, innanzitutto; e poi donne, anziani, uomini che non imbracciano un fucile, che non lanciano un razzo, che non vogliono terrorizzare nessuno, bensì sono terrorizzati e, quasi sempre, affamati.
Mentre l’Onu denuncia crimini di guerra a Gaza, nei nostri televisori si alternano coloro che definiscono un omicidio legittima difesa; come se la legge del taglione fosse una pratica civile, giustificabile; come se la morte e la distruzione fossero accettabili in nome di una guerra al terrorismo che, invece, è essa stessa terrorismo.
Il codice degli Stati Uniti definisce terrorismo “l’uso illecito della forza e della violenza contro persone o beni, al fine di intimidire o influenzare i governi o la popolazione civile”; le foto che ci giungono da Gaza sono gli atti d’accusa di un processo che probabilmente non si celebrerà mai, ma sono anche un indice puntato verso ognuno di noi: girarsi dall’altra parte, vivere la propria quotidianità come se nulla fosse equivarrebbe a essere complici di questa barbarie.
Uno dei primi striscioni che, nel 2006, realizzammo per opporci alla nuova installazione militare statunitense diceva “difendiamo la terra per un domani senza basi di guerra”; è il senso della nostra mobilitazione: impedire la realizzazione di un nuovo strumento militare per mettere un granello di sabbia nel meccanismo della guerra. In questi giorni abbiamo realizzato l'editto di Ponte Marchese per ribadire, a due anni dal vigliacco “non mi oppongo” pronunciato dall’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, che impediremo la realizzazione del progetto a stelle e strisce; è una delle tante cose che possiamo fare per non voltare le spalle alle immagini che, in questi giorni, ci provengono dall’ennesimo fronte di guerra. Per potere, domani, far diventare soltanto storia – e non più quotidianità – la brutalità della guerra.
VIDEO MESSAGGIO PER OBAMA
No Dal Molin
E, del resto, il nostro è il tempo del diritto internazionale al quale governanti e commentatori si ispirano; esistono convenzioni contro i crimini di guerra che, nelle parole, dovrebbero tutelare coloro che non sono parte in causa in un conflitto; coloro che, come ognuno di noi, vivono le proprie città, i propri villaggi, nella quotidianità di chi non va in televisione, non fa proclami e non accarezza poteri. Coloro che non imbracciano un’arma, che non vogliono uccidere, bensì vivere, possibilmente con serenità e felicità. Coloro che i nostri media chiamano civili forse proprio perché, pur non ammettendolo, hanno capito essi stessi che gli altri, quelli con i fucili tra le braccia, sono gli incivili.
Quando, a scuola, si studiano il Medioevo o, per andare a tempi più recenti, i due conflitti mondiali che hanno insanguinato il Novecento, non riusciamo a pensare che quegli stessi avvenimenti fanno parte della quotidianità del nostro mondo e del nostro tempo. Poi, però, i nostri occhi cadono sulla foto di una qualsiasi delle guerre in corso, e scopriamo che la guerra, pur se tecnologica e chirurgica, pur se condotta con visori notturni e missili intelligenti, pur se umanitaria e di pace, uccide. Bambini, innanzitutto; e poi donne, anziani, uomini che non imbracciano un fucile, che non lanciano un razzo, che non vogliono terrorizzare nessuno, bensì sono terrorizzati e, quasi sempre, affamati.
Mentre l’Onu denuncia crimini di guerra a Gaza, nei nostri televisori si alternano coloro che definiscono un omicidio legittima difesa; come se la legge del taglione fosse una pratica civile, giustificabile; come se la morte e la distruzione fossero accettabili in nome di una guerra al terrorismo che, invece, è essa stessa terrorismo.
Il codice degli Stati Uniti definisce terrorismo “l’uso illecito della forza e della violenza contro persone o beni, al fine di intimidire o influenzare i governi o la popolazione civile”; le foto che ci giungono da Gaza sono gli atti d’accusa di un processo che probabilmente non si celebrerà mai, ma sono anche un indice puntato verso ognuno di noi: girarsi dall’altra parte, vivere la propria quotidianità come se nulla fosse equivarrebbe a essere complici di questa barbarie.
Uno dei primi striscioni che, nel 2006, realizzammo per opporci alla nuova installazione militare statunitense diceva “difendiamo la terra per un domani senza basi di guerra”; è il senso della nostra mobilitazione: impedire la realizzazione di un nuovo strumento militare per mettere un granello di sabbia nel meccanismo della guerra. In questi giorni abbiamo realizzato l'editto di Ponte Marchese per ribadire, a due anni dal vigliacco “non mi oppongo” pronunciato dall’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, che impediremo la realizzazione del progetto a stelle e strisce; è una delle tante cose che possiamo fare per non voltare le spalle alle immagini che, in questi giorni, ci provengono dall’ennesimo fronte di guerra. Per potere, domani, far diventare soltanto storia – e non più quotidianità – la brutalità della guerra.
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