Grandi opere: chi perde al Tar dovrà risarcire i danni
Si chiamano "Nimby", acronimo dell'inglese "Not In My Backyard" (non nel mio cortile). E' una parola che ha cominciato a circolare negli anni Novanta e che oggi è più che mai d'attualità. Sta a indicare chi, magari d'accordo in linea di principio con questa o quella "grande opera", è però disposto a mobilitarsi, incatenarsi, sdraiarsi su rotaie e strade, affinché il cantiere non apra nelle vicinanze di casa sua.
Centrali nucleari? Buona idea, però, per cortesia, fatele un po' più in là. E così è per linee d'alta velocità, ponti, autostrade e via dicendo.
Con il pretesto di questi fenomeni di egoismo territoriale, ora 136 deputati del Pdl hanno sottoscritto una proposta di legge (2271) che punisce con risarcimenti milionari i ricorsi alla giustizia amministrativa bocciati dal Tar.
Il meccanismo è semplice: io (governo, ente locale) decido di aprire un cantiere a 100 metri da casa tua; tu - comitato di cittadini, associazione ambientalista, etc - fai ricorso; il Tar lo respinge; tu paghi non solo le spese del procedimento, ma anche i danni.
Tecnicamente, con la modifica 5-ter all'articolo 18 della legge 8 luglio 1986 (responsabilità processuale delle associazioni di natura ambientale), qualora il ricorso alla giustizia amministrativa "sia respinto perché manifestamente infondato, il giudice condanna le associazioni soccombenti al risarcimento del danno oltre che alle spese del giudizio".
Insorgono ovviamente le organizzazioni che difendono l'Italia dalle colate di cemento - da Italia Nostra a Legambiente, passando per Wwf e Vas Verdi Ambiente e Società - perché la nuova norma è vista come un ricatto legalizzato, una spada di Damocle sull'esercizio dei propri diritti fondamentali.
Si punta sull'incostituzionalità della legge, dato che l'articolo 24 della carta fondamentale stabilisce che "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi".
Ma il primo firmatario, l'onorevole Michele Scandroglio, fedelissimo del ministro Claudio Scajola, ribatte che si tratta di scoraggiare le "proteste che, conosciute con l'acronimo 'Nimby', determinano un ritardo costante del 'cantiere Italia'".
E parlando delle associazioni di tutela ambientale, aggiunge che "talvolta presentano ricorsi pretestuosi, con il solo e unico scopo di impedire la realizzazione dell'opera pubblica".
In realtà, secondo i legali delle associazioni ambientaliste, le norme vigenti prevedono già il risarcimento se i ricorsi respinti hanno agito "con mala fede o colpa grave". La novità consiste invece nel risarcimento sempre e comunque nel caso il ricorso venisse respinto.
L'articolo 18 della legge 8 luglio 1986 era già stata modificato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che abrogava una serie di commi che disciplinavano le sanzioni nei confronti di chi era riconosciuto responsabile di danni all'ambiente.
Con la nuova norma, si modifica ulteriormente la legge limitando la possibilità di ricorso delle associazioni riconosciute.
(aprile 2009)
fonte
Si chiamano "Nimby", acronimo dell'inglese "Not In My Backyard" (non nel mio cortile). E' una parola che ha cominciato a circolare negli anni Novanta e che oggi è più che mai d'attualità. Sta a indicare chi, magari d'accordo in linea di principio con questa o quella "grande opera", è però disposto a mobilitarsi, incatenarsi, sdraiarsi su rotaie e strade, affinché il cantiere non apra nelle vicinanze di casa sua.
Centrali nucleari? Buona idea, però, per cortesia, fatele un po' più in là. E così è per linee d'alta velocità, ponti, autostrade e via dicendo.
Con il pretesto di questi fenomeni di egoismo territoriale, ora 136 deputati del Pdl hanno sottoscritto una proposta di legge (2271) che punisce con risarcimenti milionari i ricorsi alla giustizia amministrativa bocciati dal Tar.
Il meccanismo è semplice: io (governo, ente locale) decido di aprire un cantiere a 100 metri da casa tua; tu - comitato di cittadini, associazione ambientalista, etc - fai ricorso; il Tar lo respinge; tu paghi non solo le spese del procedimento, ma anche i danni.
Tecnicamente, con la modifica 5-ter all'articolo 18 della legge 8 luglio 1986 (responsabilità processuale delle associazioni di natura ambientale), qualora il ricorso alla giustizia amministrativa "sia respinto perché manifestamente infondato, il giudice condanna le associazioni soccombenti al risarcimento del danno oltre che alle spese del giudizio".
Insorgono ovviamente le organizzazioni che difendono l'Italia dalle colate di cemento - da Italia Nostra a Legambiente, passando per Wwf e Vas Verdi Ambiente e Società - perché la nuova norma è vista come un ricatto legalizzato, una spada di Damocle sull'esercizio dei propri diritti fondamentali.
Si punta sull'incostituzionalità della legge, dato che l'articolo 24 della carta fondamentale stabilisce che "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi".
Ma il primo firmatario, l'onorevole Michele Scandroglio, fedelissimo del ministro Claudio Scajola, ribatte che si tratta di scoraggiare le "proteste che, conosciute con l'acronimo 'Nimby', determinano un ritardo costante del 'cantiere Italia'".
E parlando delle associazioni di tutela ambientale, aggiunge che "talvolta presentano ricorsi pretestuosi, con il solo e unico scopo di impedire la realizzazione dell'opera pubblica".
In realtà, secondo i legali delle associazioni ambientaliste, le norme vigenti prevedono già il risarcimento se i ricorsi respinti hanno agito "con mala fede o colpa grave". La novità consiste invece nel risarcimento sempre e comunque nel caso il ricorso venisse respinto.
L'articolo 18 della legge 8 luglio 1986 era già stata modificato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, che abrogava una serie di commi che disciplinavano le sanzioni nei confronti di chi era riconosciuto responsabile di danni all'ambiente.
Con la nuova norma, si modifica ulteriormente la legge limitando la possibilità di ricorso delle associazioni riconosciute.
(aprile 2009)
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