Dinanzi a un’alluvione di vastissime proporzioni come quello che sta mettendo in ginocchio il Veneto, cosa c’è di meglio che bucare una montagna per farci passare automobili e tir? Un tunnel di 6,5 chilometri tra Malo e Castelgomberto, proprio in mezzo al torrente Timonchio – che più giù, in pianura, si trasforma nel Bacchiglione, il fiume che ha inondato Vicenza – e al fiume Agno, che in valle risorge sotto il nome Frassine, quello che ha sommerso Padova. Sì, perché la vera emergenza in Veneto è il traffico. E per risolvere il problema delle code, in un territorio dove la terra è sostituita da capannoni ormai svuotati dalla crisi, ci vuole una nuova autostrada: 94 chilometri di asfalto, 50 di raccordi, per oltre 800 ettari di cemento gettato proprio tra le Prealpi e la pianura sommersa dai fiumi. Nella zone delle “risorgive”, dove l’abbondante acqua penetrata nella ghiaia a monte torna in superficie, alimentando gli affluenti del Brenta. Serve la Protezione civile per fare le autostrade, in Italia. Il 31 luglio 2009 «su proposta» di Guido Bertolaso, Berlusconi assegna i poteri emergenziali propri delle calamità naturali a Silvano Vernizzi per costruire la Pedemontana, un raccordo tra la A4, la A 27e la A31 in uno dei territori più urbanizzati del mondo. Quando poi i fiumi esondano, interviene il governo. Bertolaso e Berlusconi fanno forse l’ultima apparizione insieme (il sottosegretario è andato in pensione l’11 novembre) nella pianura veneta trasformata in un immenso stagno, con danni per centinaia di milioni di euro. Dicono che il governo ci sarà, a fianco degli alluvionati. Bertolaso aggiunge che «la sciagura poteva essere prevenuta se si fossero fatte opere di messa in sicurezza che noi chiediamo da anni». La Pedemontana è forse una di queste? Allora perché la Protezione civile ha sottoscritto i poteri straordinari per il traffico a Vicenza, invece di nominare magari un commissario alla sicurezza idrogeologica della zona?
Quella dichiarata il 5 novembre dal Consiglio dei ministri è la terza emergenza ancora in vigore a Vicenza. La prima era stata dichiarata il 26 giugno 2009 e poi prorogata fino al 211, per un tifone che aveva colpito la provincia. Ma pochi giorni dopo il governo dichiara la vera emergenza. È il traffico nelle province di Treviso e Vicenza. Con un’ordinanza ferragostana (la 3802 del 15 agosto 2009) il governo nomina Silvano Vernizzi commissario straordinario per la realizzazione delle Pedemontana Veneta. Una strada la cui storia affonda le radici nella prima Repubblica. Doveva essere un raccordo tra le circonvallazioni dei paesi prealpini, negli anni ‘90. Poi, dopo Tangentopoli, si trasforma in una superstrada con 40 uscite per incanalare il traffico locale delle fabbrichette che sorgono come funghi. Infine si trasforma in una autostrada a pedaggio, con solo 17 uscite, 20 chilometri di percorso in più fra le montagne della valle dell’Agno con 15mila metri di tunnel, il resto da costruire dentro una trincea scavata nel terreno profonda fino a 9 metri, sul territorio di 32 comuni. A proporre l’opera è la Pedemontana Veneta spa, inizialmente una società pubblica partecipata da regione, enti locali, da Autostrade spa e alcune banche (San Paolo, Unicredit, Antonveneta). Poi, con un blitz nella sede di un notaio veronese, nel dicembre 2005 i privati, senza nessuna gara d’appalto, ne acquisiscono il controllo: 1.500 azioni della società passano da banche e società pubbliche a una cordata capitanata da Impregilo (la stessa del Ponte di Messina e dell’inceneritore di Acerra), comprendente il consorzio Cps (al cui interno figurano la Maltauro, Rizzani De Eccher, Mantovani) e strane società, come la Adria Infrastrutture, nel cui cda siede anche Claudia Minutillo, ex segretaria particolare del governatore berlusconiano, il doge Giancarlo Galan. Ma l’affare salta, quando l’opera viene messa a gara. Nonostante l’opzione riservata al proponente, dopo una serie di ricorsi, la Pedemontana viene assegnata al consorzio Sis Scpa, con sede a Torino, controllata per il 60 per cento della Cacyr Vallehermoso, multinazionale spagola delle costruzioni, e per il 40 per cento dal gruppo Fininc Spa, proprietà dalla famiglia torinese dei Dogliani. Il cui capostipite, il settantenne Matterino Dogliani, affianca la produzione di vino nel cuneese all’attività bancaria (era presidente della Banca di Credito Cooperativo di Bene Vagienna), passando per le speculazioni immobiliari nelle Langhe (è lui a costruire il contestatissimo Boscareto Resort di Serralunga d’Alba di cui parla diffusamente La colata, fortunato libro edito da Chiarelettere). Matterino Dogliani fa da presidente del consorzio, che curerà non solo la costruzione, ma anche la gestione della strada. Che nascerà in project financing, una tecnica per la quale il privato mette i soldi per l’opera e la gestisce per un periodo sufficiente a rientrare nell’investimento. Ma l’accordo con la Regione, che bandisce l’appalto, è tutto a favore del privato. Se il numero di autovetture che transiteranno nell’autostrada a pedaggio sarà inferiore alla quota di 840milioni di veicoli/km annui la Regione dovrà versare un contributo annuo di 20milioni di euro circa per 39 anni. Un debito che i governatori della regione non hanno mai messo a bilancio. Il privato non ci rischia un euro.
L’autostrada passa in zone fortemente urbanizzate, ricche di agricoltura di qualità e taglia il terreno di una villa prepalladiana. I ricorsi dei cittadini si sprecano. Ed è qui che la Regione chiama in causa la Protezione civile. Che nomina Silvano Vernizzi commissario straordinario, col compito di approvare il progetto definitivo dell’opera sostituendo «ad ogni effetto, visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di competenza di organi statali, regionali, provinciali e comunali». La firma del supercommissario «costituisce variante agli strumenti urbanistici e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori». Poteri amplissimi. Ma ciò che più salta all’occhio, nell’ordinanza di Bertolaso, è il potere di derogare a una delibera Cipe del 2006, che ha stanziato il contributo pubblico all’opera, sottoponendolo però a un lungo elenco di prescrizioni e raccomandazioni. Di queste, secondo i comitati Salute e difesa del territorio, che si battono per mitigare i danni della Pedemontana, ben 48 non vengono rispettate. L’obbligo di redigere «appositi studi di dettagli per la compatibilità idraulica per le opere di attraversamento dei corsi d’acqua e per i siti di cantiere ricadenti in aree golenali o nei pressi di aree sottoposte a rischio esondazione o alluvione». E ancora «lo sviluppo in dettaglio degli interventi di sistemazione idraulica in corso d’opera e la risoluzione delle interferenze dell’opera con la rete idrografica»; la «salvaguardia dei pozzi e degli acquiferi destinati al consumo umano». Prescrizioni di cui il commissario Vernizzi non sembra aver voluto tener conto, dall’alto della sua carica a doge delle autostrade. Vernizzi, infatti, oltre a essere commissario governativo per la pedemontana, ha svolto lo stesso ruolo per la costruzione del passante di Mestre, l’irrinunciabile autostrada dell’entroterra veneziano entrata in tilt lo stesso giorno dell’inaugurazione, con decine di chilometri di coda. Vernizzi è anche ad di Veneto Strade Spa (con una paga di 160mila euro annui), società controllata da Regione e province, che gestisce 1.400 km di strade locali. È stato presidente della commissione Via regionale, la stessa che ha fornito il via libera nella valutazione d’impatto ambientale della Pedemontana. È un alto dirigente della Regione, segretario a infrastrutture e mobilità (stipendio 170mila euro). E per nome dell’ex governatore Galan, attuale ministro dell’agricoltura, ha partecipato a numerose spa regionali, sotto diretto controllo politico (Ferrovie venete srl, Interoporto di Rovigo spa, C.R.S. Spa, Metropolitana del Veneto Srl, Veneto infrastrutture servizi Srl, Vi.abilità spa). Con l’arrivo del leghista Zaia ha mantenuto il suo posto. Così come l’altro uomo forte dell’asfalto in Veneto, Renato Chisso, assessore regionale alla mobilità. Chisso avrà molto da lavorare: per i prossimi anni si immagina una nuova colata, da realizzare col rito veneto: project financing, spa pubbliche di controllo politico, stretta rete tra istituzioni e imprenditori rampanti. Si prevede la Valdastico sud, la Valdastico nord, il grande raccordo anulare di Padova, la camionabile Padova-Venezia, la Cesena-Venezia, la Nogara-adriatica, il sistema delle tangenziali venete, la Romea commerciale, il raddoppio dell’A4, e ancora decine di bretelle e tangenziali. «Da quando nel 1990 è stato redatto il piano regionale dei trasporti la quantità di traffico su ruota è salita dall’84 a oltre il 90 per cento, in un territorio dove il 40 per cento del suolo è urbanizzato», spiega Ilario Simonaggio, segretario regionale della Filt-Cgil. «E intorno alla Pedemontana, nella delicata zona delle risorgive che alimenta tutti gli acquedotti veneti, si progetta di edificare ancora».
Le autostrade in Veneto sono un affare perché intorno ad esse si può costruire. La legge regionale urbanistica prevede che «le aree afferenti ai caselli autostradali (…) per un raggio di 2 km dalla barriera stradale sono da ritenersi aree strategiche di rilevante interesse pubblico. Dette aree sono da pianificare sulla base di appositi progetti strategici regionali». Intorno alla nuova Pedemontana decide la Regione, sottraendo il governo del territorio ai comuni e ai loro piani regolatori. Qualche imprenditore vicentino espropriato non ha neppure nascosto la sua felicità. Non tanto per i valori di esproprio (il terreno agricolo è ceduto a 16 euro al metro quadro, molto meno del Passante). Nelle aree di sua proprietà intorno alla nuova strada potrebbero sorgere alberghi, appartamenti, centri direzionali e commerciali. Un fiume di cemento intorno al fiume d’asfalto. In Veneto a debordare non è solo l’acqua.
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Sotto la neve pane. Sotto il cemento fame!