Trieste. L'allarme TAV scuote gli antipodi della Valsusa. Succede a Trieste, nodo del corridoio Europeo n° 5 tra Lisbona e Kiev. L’allarme è forte, proporzionale al silenzio “sommergibilistico” con cui il progetto ferroviario è andato avanti finora. Il tracciato è uscito dai cassetti, rivelandosi nei dettagli, e si diffonde infiammando assemblee a poche settimane dal voto. Dopo un anno di illazioni , tam tam e vertici per addetti ai lavori, ora tutti sanno: c’è un “biscione” che bucherà il Carso con curve da autodromo, a filo di frontiera con la Slovenia. Una strada che il semplice buon senso fa apparire più lunga, costosa e devastante del necessario.
Tutto è cominciato quando il Municipio di Dolina, che sopporterà il grosso dei lavori, ha reso pubblico il tracciato mettendolo sul suo sito. Un atto di trasparenza che né la Regione, né la Provincia , né il Comune capoluogo avevano compiuto.
Il risultato è che , dopo il disastro della Bologna-Firenze e la guerra contro il tunnel fra Torino e Lione, si apre un nuovo fronte di resistenza alle grandi opere e soprattutto ai metodi della legge-obiettivo che ha reso più sommarie le procedure sull’impatto ambientale azzerando la concertazione con i cittadini. E così, nel motto “No Tav” , s’è creata un’allerta transfrontaliera (italo-slovena) e trasversale (destra-sinistra) che non guarda in faccia i partiti. All’ultima assemblea nel teatro di Dolina non bastavano i posti a sedere tanto era il pubblico giunto anche dall’estero , con una forte presenza del Club Alpino finalmente attento all’ambiente. Un incontro privo di toni barricadieri , ma impietoso dei giudizi sul tracciato “inutile”, “devastante”, “assurdo”, “demenziale”. Eppure gli alti livelli della politica hanno preferito non farsi vedere.
Carte in mano , sono emersi dubbi tremendi
La nuova stazione sotterranea di Trieste, per esempio, verrebbe a trovarsi trenta metri sotto la linea di piena del Timavo , col rischio che il fiume sotterraneo invada le gallerie in fase di scavo e si riversi come un Vajont in pieno centro città. Presso Monfalcone il Timavo è minacciato al punto che il governo stesso ha silurato il progetto, senza che in seguito si sia pensato a tracciati alternativi.
“ E’ peggio del Mugello” dice il geologo Franco Chicco. La Val Rosandra- un canyon tra i più contaminati d’Europa, con l’unico fiume superficiale della zona -da una parte viene dichiarata parco da tutelare dalla UE e dall’altra viene completamente circondata da un curvone del tunnel, con rischi per le acque sotterranee e i terreni tra i più cavernosi e imprevedibili del mondo.
E che dire del materiale di scavo. Otto milioni di metri cubi di roccia, come quattro piramidi di Cheope, che nessuno sa bene dove piazzare. Al punto che gli Sloveni -che sono a corto di coste- hanno proposto di fare isole artificiali, per metterci casinò. Davanti a Portorose.
La nuova linea dovrebbe trasferire su ferrovia il traffico su gomma, ma intanto gli scavi comportano il passaggio di cento camion al giorno per dieci anni, domeniche e feste comprese. Trecentosessantacinquemila Tir , concentrati su un territorio minimo, come quello tra Trieste e la Slovenia, che ha già pagato il suo dazio all’industrializzazione, con espropri forzosi ad apertura di cave che nessuno ha MAI RIPRISTINATO IN TRENT’ANNI. “Qui si distrugge il poco che rimane della nostra vita rurale” sbotta Vojko Kocjancic, produttore di vino e olio sul confine.
Il Corridoio Cinque serve non solo al porto di Trieste ma all’intera economia del Nord Est, la locomotiva d’Italia. Tuttora il grosso delle esportazioni verso il Danubio passa per il Brennero, con costi enormi. “ Vi strapperemo dall’isolamento” promettono i teorici dell’Alta Velocità.
Ma è proprio qui che arrivano le sorprese.
1) La linea comporta sventramenti da alta velocità senza essere una TAV, perché non si va mai oltre i 180 km orari.
2) La TAV non serve Al traffico commerciale, incompatibile con quelle andature.
3) Per lo stesso motivo gli Sloveni non vogliono la TAV sul loro territorio, per cui i supetreni dovranno fare capolinea a Trieste, che da sola non giustifica l’opera. A conferma dell’inghippo, si scopre che la sutura fra la linea maggiore e il porto di Trieste è prevista appena tra vent’anni, mentre quella con lo scalo di Capodistria prevede un’esecuzione rapida, con problemi enormi di concorrenza per Trieste, che è a meno di dieci chilometri. Una gara in perdita, perché Capodistria è l’unica sovvenzionatissima base marittima della Slovenia, mentre l’Italia -inguaribilmente Tirrenocentrica- ha altri porti a cui pensare.
Ma allora a cosa servono questi lavori ciclopici? Al traffico passeggeri, si afferma. Peccato che quel traffico non c’é.. Le linee esistenti sono sottoutilizzate al punto che le FFSS hanno appena tagliato l’ultimo collegamento diurno con Lubiana. Col risultato che oggi -senza più confine- lo spazio ex jugoslavo è meno collegato che ai tempi della Cortina di Ferro. “
Il rischio -spiega Andrea Wahrenfenning di Legambiente– è che con l’alibi di questa mega opera nessuno si prenda cura della rete esistente per i prossimi vent’anni, lasciando alle ortiche tratte minori ad alto potenziale, come la Monfalcone-Opicina o la sutura di appena otto chilometri fra Trieste e Capodistria, riattivabili con grande giovamento per l’economia”.
Ma alla Regione nessuno ha voglia di toccare la patata bollente che la giunta di destra ha ereditato dalla gestione Illy. Lo stesso ex assessore ai trasporti, Ludovico Sonego, discusso notabile DS che ha spinto la TAV fino alla morte, dichiara di non volerci tornare sopra. Tanto più in tempo di elezioni. Intanto la protesta cammina. Sul Carso s’è appena fatto un raduno silenzioso con mucche, asini, maiali e cavalli, in rappresentanza dell’ambiente ferito. Sotto accusa la procedura delle grandi opere, affrontate con studi di impatto ambientale insufficienti e forieri di guai. “ L’unico modo per uscirne -commenta Giuliano Sauli, ingegnere ambientale della “Naturstudio”- è monitorare il territorio in modo più attento. E’ offrire alle comunità ripristini del paesaggio più che compensazioni in denaro”.
Paolo Rumiz
Da la Repubblica di giovedì 21 maggio 2009
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Sotto la neve pane. Sotto il cemento fame!