L’acqua è arrivata da nord; sono state precipitazioni eccezionali; si sono sciolte rapidamente le nevi in montagna. Sono, queste, alcune delle argomentazioni con le quali si tenta di giustificare un disastro che, invece, è prima di tutto umano. «Un territorio verde – ricorda Ilvo Diamanti su La Repubblica – urbanizzato senza limiti e senza regole»: sta in queste poche parole la spiegazione di un evento che ci ha colto di sorpresa, distruggendo e devastando interi quartieri delle nostre città.
E’ evidente: la nuova base militare in costruzione al Dal Molin non rappresenta l’unico esempio dello scempio territoriale del nordest; strade e villette, capannoni industriali e tangenziali, aree commerciali e residenziali: la cementificazione e l’impermealizzazione del territorio passano anche per queste opere, spesso inutili, che hanno trasformato il Veneto da territorio agricolo a reticolo metropolitano.
Ma escludere – come alcuni vorrebbero fare – la cementificazione statunitense del Dal Molin dai fattori che hanno contribuito all’alluvione significa voler difendere a priori un’imposizione che gran parte della cittadinanza non voleva, consapevole dei danni che avrebbe prodotto.
Gli abitanti del quartiere Produttività, di fronte al Villaggio del Sole, non ricordano di essere stati inondati anche quando altrove l’acqua entrava nelle case. Non si era mai visto Viale Diaz trasformato in un torrente. Cosa è successo?
Un anno fa abbiamo segnalato che l’argine sinistro del Bacchiglione, lungo il percorso che costeggia la costruenda base, era stato rialzato a scapito di quello di destra. Nella mappa prodotta il 7 marzo 2007 dal Genio Civile di Vicenza, Distretto Idrografico Nazionale dei fiumi Brenta-Bacchiglione, a firma del Dirigente responsabile Dott. Ing. Nicola Giardinelli, si vede come l’area del Dal Molin è zona di esondazione in due specifici punti indicati da una vistosa freccia nera. Un punto è nel cono di volo nord dell’area, all’altezza della presa che va verso la zona del Maglio, ed un punto è a ovest in località ponte del Bo. Entrambi i punti sono interni all’area della costruenda base.
L’ing. Guglielmo Vernau spiega che «l’aver alzato gli argini ha impedito che l’acqua trovasse sfogo nell’area del Dal Molin; essa, quindi, ha proseguito la sua corsa devastante verso sud aggravando la situazione delle aree urbane di Viale Diaz, Viale Trento e Villaggio Produttività. In poche parole, la nuova base ha impedito che l’area del Dal Molin costituisse una sorta di camera di compensazione che ritardasse e attenuasse le conseguenze dell’alluvione nella parte abitata della città».
E così, Vicenza si è trovata con l’acqua alla gola, mentre gli statunitensi se ne sono restati all’asciutto, grazie all’innalzamento dell’argine costato più di un milione di euro e pagato dai contribuenti italiani. Tanto che, mentre le ruspe sgomberavano le strade dal fango a Caldogno e Vicenza, dentro al perimetro del cantiere statunitense si era già ricominciato a lavorare, per cementificare e impermealizzare ulteriormente il territorio.
I vicentini rischiano di non vedere rimborsati i danni prodotti dall’incuria del territorio e dalla cementificazione; gli statunitensi, invece, (ai quali paghiamo il 41% delle spese di permanenza nella nostra città) sono al sicuro: con i nostri soldi, gli abbiamo costruito un argine alto e robusto. Grazie Zaia, grazie Lega.
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Sotto la neve pane. Sotto il cemento fame!