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13 dicembre 2010

Veneto infelix nella crisi

Sempre più poveri. Senza lavoro e con l'affitto in bolletta. Indebitati oltre il collo. Pericolosamente in bilico fra disagio e indigenza. Il «lato B» del Veneto è in braghe di tela. Anno decimo del Duemila: tramonta anche l'ultimo ricordo del mito. A Nord Est, la crisi è conclamata perfino sul fronte dei consumi essenziali e della sussistenza minima. La «fabbrica diffusa» è ormai deserta; la cassa integrazione sta per esaurirsi; all'orizzonte nessuna ripresa produttiva strutturale. Restano i (pochi) risparmi per sopravvivere, prima di vincere la vergogna e bussare alle stesse porte che da sempre assistono extracomunitari e clochard.
La famiglia-tipo paga per tutti. Uomo, 50enne, sposato con figli, casa con il mutuo: è il profilo del «nuovo povero». Gente disposta a vendersi un rene, a impegnare l'oro al Monte di pietà o nei negozi specializzati, a rivolgersi ai «cravattari» perché in banca non c'è più speranza. Qualcuno ha preferito farla finita per davvero. Molti hanno dovuto affidare la disperazione alla Caritas, che almeno assicura i pacchi viveri di sussistenza. Nessuno immagina più di poter resistere così fino al 2012.

E' Padova il buco nero dell'economia domestica. Statisticamente, quasi 20 mila euro di rosso per le famiglie della provincia. Nell'arco degli ultimi otto anni, la cifra è praticamente raddoppiata. Verona e Vicenza non se la passano meglio, dato che i debiti familiari sono cresciuti rispettivamente del 93,4% e 92,5% rispetto a prima della Grande Crisi. Va un po' meno peggio in Friuli: Udine galleggia a quota 78,5%, Gorizia si attesta al 61,7%. Ma a Venezia, la lista degli indigenti è un bollettino di guerra: 210 persone senza fissa dimora, 184 ricoveri nelle strutture di pronta accoglienza notturna della Casa dell'ospitalità e della cooperativa Caracol. Altri 142 veneziani hanno bussato allo sportello diurno gestito dalla coop Gea. I volontari della Croce verde, appena fuori dalla stazione ferroviaria, forniscono altri particolari di una recessione sempre più «sociale»: fanno davvero impressione le 144 prestazioni sanitarie erogate e la cinquantina di cittadini che hanno richiesto una qualche forma di assistenza legale. Così come le 262 coperte distribuite, i 5.500 pacchi-ristoro e la coda di 440 persone che hanno bisogno di utilizzare gratis la doccia o la lavatrice. Già esauriti i 170 mila euro del fondo di microcredito (di cui 30 mila a fondo perduto), insieme al «prestito della speranza» della Conferenza episcopale italiana (500 euro al mese per un anno), tra i pochi ammortizzatori disponibili sul campo. E a Ca' Letizia la San Vincenzo viaggia al ritmo di 120-130 pranzi al giorno.

Spiegano alla Fondazione Zancan: «Sempre più a vivere questa condizione sono persone e famiglie che non sembrano povere. Questo perché nascondono la loro imprevista precarietà e tentano di proteggere la loro condizione di vita da giudizi e pregiudizi. La crisi economica non ha fatto che aggravare una situazione già esistente: famiglie numerose con figli piccoli, donne sole con prole, anziani con reddito da pensione insufficiente e ridotta autonomia. Sono questi i volti della nuova povertà. Instabilità familiare, solitudine, non autosufficienza fungono poi da fattori aggravanti».
E così risultano fuorvianti perfino le «istantanee» scattate dall'Istat che sembrano offrire la controtendenza del fenomeno. «È una mera illusione ottica, strumentalizzabile dalla politica. L'impoverimento della popolazione ha portato a un drastico abbassamento dei consumi. E di conseguenza della linea statistica della povertà - puntualizzano gli analisti dell'Onluss padovana - In questo modo i poveri non risultano aumentati e la povertà relativa è rimasta pressocché invariata rispetto ai valori del 2009».

Eppure, basterebbe aggiornare il dato sulla base della variazione dei prezzi avvenuta tra il 2008 e il 2009 per ottenere 550 mila nuovi poveri da sommare agli indigenti «certificati» Istat. Oppure alzare la soglia della povertà relativa di appena 25 euro mensili per ottenere circa 223 famiglie sulla soglia dell'indigenza. «Un risultato ben più amaro rispetto ai dati ufficiali» si legge nel report sulla povertà. E proprio nel "ricco" Nord Est lo scostamento emerge in tutta la sua ampiezza: Nel caso del Veneto, nel 2004 i differenziali di spesa pro capite tra i comuni aggregati per Ulss andavano da 1 a 11. Nel 2006 lo stesso rapporto si è trasformato in 1 a 13: «Significa che se un territorio ha speso 1, altri sono arrivati a spendere 13 volte di più per dare risposte a bisogni analoghi. Così sono aumentate le disuguaglianze: nel 2006 la spesa variava tra i 15,45 euro dei comuni del Bellunese ai 49,45 euro del Veneziano. Ma non ci sono differenze solo nel valore pro capite: l'incidenza sul totale della spesa sociale oscillava tra il 19% del Bellunese e il 40% del Polesine» ricordano alla Zancan.

A chiedere aiuto sono soprattutto componenti di nuclei familiari: il 67% degli «utenti» ha un impiego, il 66% la famiglia composta da 2 a 4 persone, mentre nel 26% dei casi non vi sono minori a carico. «In ogni caso, la problematica in assoluto più diffusa è la mancanza di lavoro o comunque di denaro. Infatti, il 79,7% degli utenti ha chiesto al «Pane dei poveri» contributi economici per riuscire a pagare le bollette, mentre un altro 13,7% non ce la fa a versare l'affitto» spiegano i ricercatori della Fondazione.
Mesi fa, il direttore Tiziano Vecchiato aveva dettagliato i risultati della lotta all'indigenza dei governi dell'Unione europea: «Gli effetti della riduzione della povertà delle famiglie con figli prima e dopo l'effetto congiunto di benefici fiscali e trasferimenti monetari è 1,7% in Italia, 80,4% in Danimarca, 72,7% in Francia, 46,9% in Germania e il 45,6% nel Regno Unito. Ci fa compagnia solo il Portogallo, con il 2,8%. Questo perché nel nostro Paese l'assistenza sociale è soprattutto erogazione di denaro, senza aiutare a trovare casa e lavoro». Del resto «i Comuni tendono a dare risposte emergenziali erogando contributi a pioggia senza investire sui servizi, mentre dovrebbero garantire una presa in carico complessiva dei bisogni della persona» spiegano i relatori del rapporto sulla povertà. Convinti di studiare «un problema che non viene risolto perché non viene affrontato».

fonte: Il Manifesto 
dic.2010

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