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(La Repubblica - 03 marzo 2011) Non c'è disastro o calamità naturale che possano essere relegati nella dimensione biblica della fatalità, senza chiamare in causa le responsabilità o quantomeno le corresponsabilità dell'uomo, l'uomo di governo e l'uomo della strada, il potente e il cittadino comune. Vittime, feriti e dispersi; frane, smottamenti e alluvioni; danni e rovine non sono altro che il triste risultato del combinato disposto tra la furia degli elementi e l'inerzia o l'incuria degli esseri umani. Tutto è, fuorché emergenza: cioè eventualità imprevista e imprevedibile, caso fortuito, accidente della storia.
Non sorprende perciò più di tanto neppure la notizia che in Indonesia la ricostruzione post-terremoto sia proceduta più rapidamente che all'Aquila. Nonostante la retorica dei trionfalismi governativi, qualcuno avrebbe potuto meravigliarsi semmai del contrario.
C'è sempre la mano dell'uomo, il suo intervento, la sua assenza o comunque la sua complicità, nel dissesto del territorio che aggrava gli effetti e le conseguenze dei fenomeni naturali. Vale a dire il consumo eccessivo del suolo, l'alterazione diffusa dell'assetto idro-geologico, la cementificazione selvaggia delle coste, l'abusivismo e quant'altro. Quando le colline o le montagne franano a valle, molto spesso il fenomeno dipende dal disboscamento incontrollato che taglia gli alberi e distrugge la "rete" sotterranea delle radici. Quando i fiumi esondano, allagando le campagne e mietendo vittime, la causa più frequente è la deviazione degli alvei originari o la trasformazione artificiale degli argini. E così via, di scempio in scempio.
Manca una politica organica del territorio, difetta la prevenzione, si dispensano di tanto in tanto sanatorie o condoni: e allora sì, il governo è veramente "ladro", perché sottrae alla collettività e alle generazioni future un patrimonio irriproducibile. Ma manca perfino l'ordinaria manutenzione, quella che tocca innanzitutto allo Stato, agli organismi centrali e alle amministrazioni locali. E spetta però anche al privato cittadino: all'agricoltore, al proprietario, all'inquilino o al singolo condomino, a ciascuno di noi insomma nel proprio habitat vitale, per promuovere quella che Salvatore Settis chiama "azione popolare" nel libro intitolato Paesaggio, Costituzione, Cemento, invocando una battaglia per l'ambiente contro il degrado civile.
Politica del territorio significa, innanzitutto, governo e gestione del territorio. Cura, controllo, progettazione, pianificazione. Ma, ancor prima, significa cultura del territorio: cioè conoscenza e rispetto. Consapevolezza di un bene comune, di un'appartenenza e di un'identità. E quindi, difesa della natura, dell'ambiente, del paesaggio.
Un fango materiale e un fango virtuale minacciano oggi di sommergere l'Italia. Il fango prodotto dal maltempo, dall'acqua e dalla terra. E il fango prodotto dal malcostume dilagante, dall'affarismo e dall'edonismo sfrenato. Vanno fermati entrambi, in ragione della responsabilità e della solidarietà.
La convivenza di una comunità nazionale si fonda necessariamente sull'etica civile. Questa riguarda l'ambiente in senso stretto e l'ambiente in senso lato, la società e la politica. Non c'è legge elettorale, consenso popolare o federalismo municipale che possa surrogare o sostituire un tale valore costitutivo. È proprio attraverso la devastazione del territorio che rischia di passare fatalmente la disgregazione del Paese.
Le Marche sott'acqua. link RaiTG3 qui
Non sorprende perciò più di tanto neppure la notizia che in Indonesia la ricostruzione post-terremoto sia proceduta più rapidamente che all'Aquila. Nonostante la retorica dei trionfalismi governativi, qualcuno avrebbe potuto meravigliarsi semmai del contrario.
C'è sempre la mano dell'uomo, il suo intervento, la sua assenza o comunque la sua complicità, nel dissesto del territorio che aggrava gli effetti e le conseguenze dei fenomeni naturali. Vale a dire il consumo eccessivo del suolo, l'alterazione diffusa dell'assetto idro-geologico, la cementificazione selvaggia delle coste, l'abusivismo e quant'altro. Quando le colline o le montagne franano a valle, molto spesso il fenomeno dipende dal disboscamento incontrollato che taglia gli alberi e distrugge la "rete" sotterranea delle radici. Quando i fiumi esondano, allagando le campagne e mietendo vittime, la causa più frequente è la deviazione degli alvei originari o la trasformazione artificiale degli argini. E così via, di scempio in scempio.
Manca una politica organica del territorio, difetta la prevenzione, si dispensano di tanto in tanto sanatorie o condoni: e allora sì, il governo è veramente "ladro", perché sottrae alla collettività e alle generazioni future un patrimonio irriproducibile. Ma manca perfino l'ordinaria manutenzione, quella che tocca innanzitutto allo Stato, agli organismi centrali e alle amministrazioni locali. E spetta però anche al privato cittadino: all'agricoltore, al proprietario, all'inquilino o al singolo condomino, a ciascuno di noi insomma nel proprio habitat vitale, per promuovere quella che Salvatore Settis chiama "azione popolare" nel libro intitolato Paesaggio, Costituzione, Cemento, invocando una battaglia per l'ambiente contro il degrado civile.
Politica del territorio significa, innanzitutto, governo e gestione del territorio. Cura, controllo, progettazione, pianificazione. Ma, ancor prima, significa cultura del territorio: cioè conoscenza e rispetto. Consapevolezza di un bene comune, di un'appartenenza e di un'identità. E quindi, difesa della natura, dell'ambiente, del paesaggio.
Un fango materiale e un fango virtuale minacciano oggi di sommergere l'Italia. Il fango prodotto dal maltempo, dall'acqua e dalla terra. E il fango prodotto dal malcostume dilagante, dall'affarismo e dall'edonismo sfrenato. Vanno fermati entrambi, in ragione della responsabilità e della solidarietà.
La convivenza di una comunità nazionale si fonda necessariamente sull'etica civile. Questa riguarda l'ambiente in senso stretto e l'ambiente in senso lato, la società e la politica. Non c'è legge elettorale, consenso popolare o federalismo municipale che possa surrogare o sostituire un tale valore costitutivo. È proprio attraverso la devastazione del territorio che rischia di passare fatalmente la disgregazione del Paese.
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