La Serenissima, la società che gestiva la Venezia Padova, ha deciso di ricorrere ad un aumento di capitale per finanziare i fabbisogni che derivano dall’ acquisto delle partecipazioni e dal finanziamento dei project previsti nei prossimi anni.
Il consiglio ha preso questa decisione a fine settembre lasciando nelle mani del presidente, Rino Mario Gambari e del vicepresidente vicario, Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani, la valutazione sull’ entità dell’ aumento, una volta stimati i fabbisogni finanziari. La delibera, che andrà alla prossima assemblea della società, è passata con l’ astensione dei due consiglieri di nomina di Autovie ( che ha il 22% della Serenissima): il vicepresidente Albino Faccin e il consigliere Ernesto Pezzetta. Impegnata a realizzare la terza corsia, e a destinare ad essa tutti i fabbisogni, Autovie si trova così difronte alla decisione, se l’ aumento verrà comunque votato dall’ assemblea, di ridurre la sua partecipazione nel capitale della Serenissima non sottoscrivendo pro quota l’ aumento.
L’ entità dello sforzo chiesto agli azionisti deve ancora essere fissato. La Serenissima deve infatti far fronte all’ aumento di capitale della Brescia Padova e all’ acquisto della quota di essa che faceva capo alla Serravalle che gli ha consentito di diventare, in alleanza con Gavio, il terzo azionista dell’ A4, dopo Intesa San Paolo e Astaldi. In più da finanziare ci sono i project che la società ha in “pancia” e che dovrebbero partire nei prossimi mesi: la Nogara mare e il Gra di Padova cui la Serenissima partecipa. Sul versante opposto c’è Autovie che con il 22% è uno degli azionisti di rilievo della società, ma che è impegnata a mettere ogni quattrino nel tormentato finanziamento della terza corsia per il quale va avanti una faticosa trattativa con le banche per il closing finanziario che potrebbe essere conclusa entro la fine dell’ anno. E’ possibile dunque che Autovie tenga in assemblea lo stesso atteggiamento tenuto dai suoi rappresentanti in consiglio, e se l’ assemblea, come probabile, dovesse deliberare l’ aumento decida di non sottoscrivere scendendo nel capitale di Serenissima.
Del resto le difficoltà di chiudere il finanziamento dei project in questi tempi di liquidità scarsissima, tormentano anche un altro dei progetti importanti per il Veneto. Si tratta della Pedemontana Veneta il cui closing non è stato ancora portato a termine dopo quasi un anno dalla cerimonia di avvio dei lavori a Romano D'Ezzelino. Il commissario delegato Silvano Vernizzi risponde alle voci che danno per certe difficoltà insormontabili sostenendo che non ci sono pericoli ma solo aggiustamenti. «Stiamo lavorando con il concessionario (il consorzio Sis,)- ha dichiarato a ilNordest.eu- per riequilibrare i conti alla luce delle varianti rispetto al progetto” .
Il costo stimato ha superato i 2 miliardi di euro, pari a circa un 13% in più. La fase è delicata anche perché fino ad oggi i lavori, in assenza del closing finanziario con le banche coinvolte, sono andati avanti grazie all'equity garantito dal concessionario, circa 200 milioni, e del contributo pubblico di 174 milioni, risorse che però si esauriranno nei prossimi mesi. Il recente Decreto Sviluppo, con la possibilità di defiscalizzazione delle opere realizzate in project financing potrebbe contribuire a sbloccare la situazione. «Certamente questa è una possibilità sulla quale stiamo lavorando – ha proseguito il Commissario - e se entro qualche settimana, come credo, troveremo il punto di equilibrio, il PEF sarà inviato al Cipe. Il closing con le banche riguarda il concessionario, ma è evidente che un nuovo PEF, approvato dal Cipe e quindi anche dal ministero dell'Economia, renderebbe più semplice una soluzione».
24.10.2012
La Nuova di Venezia
------------------- Altro che Nimby: dai comitati un risparmio per 121 miliardi di euro. È la spending review dal basso a salvare il sistema economico italiano. L'inchiesta su "Altreconomia" di novembre 2012 *** 121 miliardi di euro.
Tanti sono i soldi che il sistema economico italiano (pubblico e privato) ha evitato di spendere sulla spinta delle proteste locali di cittadini organizzati in comitati. Soldi che avrebbero finanziato progetti -la maggior parte dei quali in ambito energetico e infrastrutturale- di cui oggi possiamo affermare con certezza l'inutilità o la dannosità. I comitati ci avevano visto giusto, e grazie alle proteste hanno fermato un colossale spreco di denaro. Oggi quei comitati, viste come sono andate le cose, possono a buon diritto affermare: “Noi l'avevamo detto”.
Altro che “sindrome Nimby” : in un epoca di tagli e di crisi, li abbiamo chiamati “i 'no' che aiutano a crescere”, ovvero quelle battaglie di buon senso che, evitando sperpero di risorse, costi ambientali e costi sociali, hanno contribuito allo sviluppo economico del Paese.
Dai No Tav (le cui proteste hanno portato a un ridimensionamento del progetto con risparmi per 21,8 miliardi di euro) alle proteste contro gli F35 (che già oggi possono vantare un mancato spreco di 4,4 miliardi) passando per il piano inceneritori siciliani (5,5 miliardi di soldi pubblici): l'inchiesta di "Altreconomia" fa i conti sulla base di 15 progetti e del loro esito.
La cifra che ne risulta -121 miliardi di euro- è in realtà una sottostima dei risparmi che i comitati hanno permesso. Le opere contestate (oggi è dimostrato) non avrebbero portato sviluppo né lavoro, ma solo impatto ambientale.
Luca Martinelli
30 ottobre 2012
------------------- Altro che Nimby: dai comitati un risparmio per 121 miliardi di euro. È la spending review dal basso a salvare il sistema economico italiano. L'inchiesta su "Altreconomia" di novembre 2012 *** 121 miliardi di euro.
Tanti sono i soldi che il sistema economico italiano (pubblico e privato) ha evitato di spendere sulla spinta delle proteste locali di cittadini organizzati in comitati. Soldi che avrebbero finanziato progetti -la maggior parte dei quali in ambito energetico e infrastrutturale- di cui oggi possiamo affermare con certezza l'inutilità o la dannosità. I comitati ci avevano visto giusto, e grazie alle proteste hanno fermato un colossale spreco di denaro. Oggi quei comitati, viste come sono andate le cose, possono a buon diritto affermare: “Noi l'avevamo detto”.
Altro che “sindrome Nimby” : in un epoca di tagli e di crisi, li abbiamo chiamati “i 'no' che aiutano a crescere”, ovvero quelle battaglie di buon senso che, evitando sperpero di risorse, costi ambientali e costi sociali, hanno contribuito allo sviluppo economico del Paese.
Dai No Tav (le cui proteste hanno portato a un ridimensionamento del progetto con risparmi per 21,8 miliardi di euro) alle proteste contro gli F35 (che già oggi possono vantare un mancato spreco di 4,4 miliardi) passando per il piano inceneritori siciliani (5,5 miliardi di soldi pubblici): l'inchiesta di "Altreconomia" fa i conti sulla base di 15 progetti e del loro esito.
La cifra che ne risulta -121 miliardi di euro- è in realtà una sottostima dei risparmi che i comitati hanno permesso. Le opere contestate (oggi è dimostrato) non avrebbero portato sviluppo né lavoro, ma solo impatto ambientale.
Luca Martinelli
30 ottobre 2012
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