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L'alternativa è: Economia prossimale - Conversione ecologica dell'industria - Ri-modellazione del sistema di trasporti - Opere locali PER il territorio - Sviluppo delle energie rinnovabili - Efficienza energetica - Utilizzo della tecnologia per praticare la 'mobilità immobile' - Produzione e consumo responsabile - Agricoltura di prossimità - Cultura dei Beni Comuni - Sobrietà negli stili di vita - Cultura della democrazia dal basso e della partecipazione - Condivisione del sapere per sviluppare la democrazia degli uguali - Sviluppo della scuola, dell'università e della ricerca per sperimentare nuovi modelli culturali e sociali

01 gennaio 2007

Un contributo al dibattito: Pedemontana. Chi la fermerà?


Mentre la nostra vita lavorativa (e non solo) si fa sempre più precaria e la crisi avanza, con i ricatti della speculazione finanziaria sulla spesa pubblica e quindi sul welfare in Grecia e presto in Italia, l'attacco ai beni comuni naturali si fa sempre più massiccio, e sempre più incombente la catastrofe ecologica in molte parti del mondo.

La crisi del sistema economico basato sulla finanza, che si muove in modo predatorio ed estraneo ai territori, è anche crisi del modello di sviluppo, ma da noi vige il fondamentalismo indimostrato del «fare», secondo cui non esiste alternativa al modello di sviluppo attuale.

La via della green economy e delle tecnologie cognitive avanzate, ormai ampiamente applicata, se non vincente, altrove, da noi è marginale e viene vista come 'sorpassata' dai nostri incolti e arroganti governanti.

Lottare contro le grandi opere e per la difesa dei beni comuni è oggi una battaglia di sopravvivenza che pone in discussione il modello di sviluppo veneto e nazionale, nel quale ancor oggi vengono proposte come innovative soluzioni basate sull'auto e sul traffico su gomma o l'industria diffusa spesso a basso contenuto tecnologico ed elevato sfruttamento della manodopera e dell'ambiente (vedi Arzignano e Montecchio...) .

Solo un nuovo modello che tenga conto dell'ambiente e delle sue risorse (turismo, agricoltura, alimentazione, riciclo ...) e delle risorse sociali ed umane, che punti alla tecnologia avanzata (autostrade informatiche più che asfalto!) può essere oggi una risposta.

La mediazione con le amministrazioni e forze politiche locali (ancorché assai poco disponibili nella loro miopia) e regionali (di cui si intravede forse forse qualche lontano spiraglio non si sa quanto illusorio) deve partire dalla consapevolezza che opere come l'Autostrada Pedemontana Veneta non sono un errore incidentale frutto di singoli inganni e speculazioni di singoli settori, ma rappresentano il modello dominante a livello nazionale e regionale di cui centrali nucleari, megainceneritori, rigassificatori, autostrade, Tav (vedi Passante) sono altrettanti esempi e non casi fortuiti.

La militarizzazione di Vicenza, il collegamento che passa con la basi Usa in Friuli proprio tramite la Pedemontana e il nuovo collegamento stradale di Vicenza nord, fanno parte di un unico sistema.

Lo spregio della democrazia, dal decisionismo fino alla falsa 'emergenza traffico' è un processo sistematico il cui unico antidoto è la democrazia dal basso che si sviluppa attorno alla lotta per beni comuni.

La capacità di gestione del ceto politico locale se è strategicamente debole nelle sue scelte (il 'maso chiuso' non è un modello granché attuale!) è però finora forte sul piano tattico della gestione del consenso elettorale: si inserisce nelle crepe della composizione sociale in parte disgregata e arretrata delle Valli per creare fratture e rallentamenti, attraverso l'azione dei media e dei politici locali.

Per questo, il movimento 'no pedemontana', partito in ritardo sul tema, nonostante la crescita indubbia degli ultimi mesi, si è scontrato con la difficoltà di estendere la lotta e rafforzarla nella sua incisività nella fase pre-elettorale e ancor più in quella post elettorale, di fronte al prevalere (apparente e in parte sostanziale) del modello conservativo e localistico al potere.

L'ipotesi lobbysta in seno al movimento, che si propone di entrare nella zona grigia tra amministrazioni, imprese, progettisti, interessi locali, facendo valere l'interesse dei cittadini, di per sé interessante, è praticabile solo con molta consapevolezza e senza dimenticare che solo la forza del movimento è in grado di pesare contrattualmente e creare alleanze. Con l’avvertenza di non essere usati e diventare cassa di risonanza proprio delle forze che l'hanno voluta e portata sul punto della realizzazione.

Infatti non siamo più nella fase in cui la Lega, che da questo poi trasse forza politica e posizioni di potere, usava i suoi legami sociali e i suoi canali politici in funzione 'populista' per sostenere l'interesse locale, ma in una fase in cui essa è organica ormai alle grandi imprese appaltatrici e quindi meno coinvolgibile, a differenza di quanto accadde ai tempi della famosa lotta contro la Centrale a Montecchio M..

Anche gli altri grandi partiti 'di lotta e di governo' più tradizionali hanno ormai spesso interiorizzato l'imperativo del 'non cedere al populismo', non assecondare gli interressi 'localistici' di 'quelli che sono sempre per il no', così come vengono definiti dai media.

In questa fase particolare, si è creato uno sbandamento in seno al movimento, che non investe solo gli aperti fautori di un modello politicista e filo- istituzionale, ma investe molti appartenenti al movimento stesso per la difficoltà che si riscontra non solo localmente di trovare riscontro e respiro per le mobilitazioni a causa del contesto politico nuovo in cui la crisi della rappresentanza e del movimento sindacale ha colpito i canali contrattuali consueti senza che ancora ne emergano di nuovi.

Per questi motivi, occorre non solo rinsaldare le fila (abbandonare la lotta significherebbe una sconfitta sul terreno fondamentale dei beni comuni) ma anche e soprattutto, con la necessaria maggiore intelligenza collettiva, trovare nuove occasioni e forme di lotta e di agitazione, nuovi obiettivi, canali, alleanze, dentro e oltre il nostro campo, al di là di particolarismi e campanilismi.

Per un nuovo rilancio del movimento creiamo dappertutto comitati nelle nostra valli e oltre! Interveniamo sulle questioni locali, estendiamo e approfondiamo l’iniziativa, fermiamo la grande opera di devastazione:

fermarla tocca a noi!

7 maggio 2010

1 commento:

  1. La crisi ci darà una mano? Io penso di sì. Dovranno stanziare cifre enormi per salvare le banche come già stanno facendo con la Grecia (anzi per la precisione non per salvare la Grecia ma per salvare le banche europee tedesche e francesi dal problema greco). Dovranno raccattare i soldi dappertutto, tagliando il welfare, i contratti del pubblico impiego, ecc. ma non gli sarà facile col governo mezzo sputtanato l'oposizione che ci sarà quando alla gente tocchi non solo 'le tasche' ma la sopravvivenza.
    Come potranno sostenere le spese collaterali alla AP come il nuovo casello di Alte, le complanari ecc.? Per non parlare delle compensazioni, delle opere per attenuare l'impatto ecc.. Continuiamo a manifestare la nostra opposizione, se non ci sono i soldi per vivere, la salute, la scuola ecc., perché dobbiamo spendere soldi per distruggere il territorio?

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Sotto la neve pane. Sotto il cemento fame!