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02 giugno 2011

L'imbroglio della modernità

Avete mai provato ad andare in treno da Roma a Pescara? O di passare dall'Adriatico al Tirreno, in qualsiasi punto dello stivale? Sono esperienze mistiche. Mentre si velocizzano poche tratte rendendole accessibili solo ai ricchi (vedi Salerno-Milano), si cancellano e si rallentano tutte le altre tratte. Si brucia danaro pubblico con grandi opere e alta velocità e si rende inevitabile l'uso dell'auto privata per la maggior parte degli spostamenti. Finire di sventrare una valle stretta già provata da strada statale, autostrada e ferrovia internazionale (sottoutilizzata) per non perdere soldi europei e arrivare un'ora prima a Parigi è demenziale, in assenza di un piano generale che ripensi l'intero sistema dei trasporti di persone e merci. Viviamo in un paese immerso nell'acqua e invece di ragionare su come trasportare le merci via mare senza sbudellare il territorio e trapanare le montagne, si chiude la Fincantieri che costruisce navi e si straparla di ponte sullo Stretto. Senza un progetto generale della mobilità, gli abitanti della Valle di Susa hanno ragione non una, ma mille volte a mettersi di traverso, e non dovremmo lasciali soli. L'ideologia Tav si somma a una pratica ultrasecolare italiana che ha visto i governi sottomettersi ai desiderata della Fiat e alla dittatura del trasporto su gomma, con quel che ha comportato in termini ambientali, sociali ed economici. Infine, c'è un modo solo per evitare la deriva delle «piccole padrie» e la sindrome del Nimby: progettare gli interventi sul territorio insieme a chi lo abita, l'opposto di come hanno operato governi e Enti locali di ogni colore, multinazionali, coop rosse e bianche. Ci sono opere, poi, che non servono, non solo «nel mio cortile» ma «nel cortile di nessuno»: dal Nimby (Not In My Back Yard) al Niaby (Not In Anyone's Back Yard).

fonte il manifesto

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