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16 gennaio 2012

La chiave dello “sviluppo” del Veneto negli ultimi quattro decenni sta in un verbo: “fabricare” (con una b).

Chi possedeva un pezzo di terra su cui “fabricare”, poteva aumentarne il valore di quattro o cinque o dieci volte, i comuni incassavano i soldi delle concessioni edilizie e i privati aumentavano il proprio capitale.

In questo modo, quarant’anni di “sviluppo” hanno prodotto una susseguirsi di zone industriali e artigianali (almeno una ma più spesso due o tre per ogni comune) e capannoni sparsi come bubboni free style in mezzo alla campagna e, negli ultimi quindici anni, centri commerciali a grappolo.

In questo scenario si cala l’Autostrada Pedemontana Veneta: 94 km di asfalto (6 corsie più complanari), 16 caselli, 36 comuni interessati, 2 provincie attraversate, 350 mila persone direttamente interessate dal passaggio di quest’opera, un numero molto più alto di persone interferite (l’APV interseca tutta la zona di ricarica della falda acquifera che alimenta gli acquedotti di diverse città tra cui Vicenza e Padova), 200.000.000 mq di territorio sottratti alla pianificazione locale attraverso lo strumento dei cosiddetti “progetti strategici” regionali che diventano di esclusiva competenza della giunta regionale.

L’Autostrada Pedemontana Veneta, formalmente chiamata “Superstrada Pedemontana Veneta a pagamento” è una tra le tante grandi opere che periodicamente entrano, escono e rientrano nell’elenco annuale della Legge Obiettivo.

Essa è stata concepita negli anni ottanta del secolo scorso,
in un periodo di espansione economica, come risposta ad un fabbisogno di viabilità (ai tempi non si usava il termine mobilità) oggi superata dalla mutata situazione economica, dal calo costante del traffico privato e commerciale e dalla consapevolezza che il modello economico liberista e, conseguentemente nordestino, è crollato sotto il peso della propria insostenibilità.

Nel corso del tempo, la SPV, da opera pubblica (istituita dalla legge finanziaria relativa all’anno 2001) è diventata un’opera sostenuta da “project financing“, che, dicono i sostenitori, si ripagherà attraverso i pedaggi (ma non solo, poiché la regione garantisce un indennizzo di 20 mln di euro l’anno per 30 anni se i livelli di traffico saranno inferiori a quelli previsti).

Le amministrazioni regionali, negli anni hanno permesso la trasformazione della società nata per la realizzazione dell’opera (Pedemontana Veneta S.p.A.), da società a prevalente capitale pubblico a società a prevalente capitale privato (85% pubblico nel 2003 contro 42% nel 2007).

Si aggiunga che: l’iniziale costo di 600 miliardi di lire (320 milioni di euro) è diventato di 2.200 milioni
, i circa 70 km del progetto iniziale sono diventati 95 (nei 25 aggiunti sono previste due gallerie “naturali” di 6,5 e 1,2 km del costo di 700 mln di Euro), l’attuale arteria che collega l’asse Est-ovest dell’Altovicentino, viene di fatto regalata alla società concessionaria (il consorzio di imprese che realizza e gestisce l’opera) che in certi punti la userà come complanare, in altri come sede dell’autostrada stessa (la mobilità, da bene comune, diviene un bene da privatizzare per fare profitti).

“E’ il progresso che avanza inarrestabile” ci dicono i favorevoli, e non si accorgono (o forse sì, ma non gli importa) che il progresso non ci ha regalato la felicità e ancora parlarne oggi significa essere invecchiati culturalmente senza aver capito che è arrivato il momento di sostituire il concetto di modernità con quello di contemporaneità, ossia la capacità di leggere il periodo i n cui si vive e cambiare direzione se necessario.

La SPV è un esempio perfetto di un modo di amministrare che preferisce a piccole opere utili (ad esempio l’alternativa proposta dai comitati di cittadini), l’opera faraonica ad alto contenuto di capitale, grande consumo di territorio e risorse, e con pochissime ricadute sul territorio.

E’ altresì l’esempio dell’assenza di dialogo e coinvolgimento delle popolazioni con cui vengono realizzate le opere nel nostro paese e lo dimostra lo strumento scelto e imposto dall ‘amministrazione regionale e dal governo nel 2009 per accelerare i tempi, saltare passaggi importanti quali il coinvolgimento dei comuni (che sono stati convocati per essere informati di decisioni già prese) e silenziare il più possibile la voce dei contrari.

Erano gli anni di Bertolaso, il tempo in cui in Italia si usava nominare commissari straordinari ad ogni piè sospinto
(beatificazione di padre Pio, mondiali di nuoto, mondiali di ciclismo, G8 a La Maddalena e poi all’Aquila, traffico acqueo di Venezia, attraversamento mezzi pesanti in centro a Messina ecc.).

In base ad un’emergenza traffico dichiarata a fine luglio 2009 per i comuni di Vicenza e Treviso, l’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nominò a metà agosto un commissario governativo con poteri straordinari per la realizzazione della SPV. Da quel momento ogni atto formale è di esclusiva competenza del commissario, la trasparenza un ricordo, la democrazia una chimera: ai comitati e cittadini contrari che hanno presentato ricorso viene negato l’accesso a due atti fondamentali (convenzione economica tra regione e concessionario e piano economico finanziario dell’opera) e i lavori hanno inizio senza che esista un progetto esecutivo complessivo dell’opera.

Oggi, a distanza di quasi due anni e mezzo il TAR del Lazio ha dichiarato illegittima la nomina del Commissario Straordinario, invalidando ogni suo atto e riportando indietro l’orologio a prima dell’approvazione del progetto definitivo.
Ciononostante i lavori stanno proseguendo, almeno stando alle dichiarazioni di commissario e residente di regione riportate dalla stampa locale, come se la sentenza del TAR fosse una fastidiosa puntura di zanzara.

L’arroganza di certi amministratori è stratosferica, la nostra tenacia nel resistere?
Un po’ di più?

Comitati Difesa Salute e Territorio Valle Agno-Malo-Altovicentino-Bassano

articolo pubblicato su: salviamoilpaesaggio.it
15 gennaio 2012


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